Giappone · Letteratura

Le bugie del mare di Kaho Nashiki

Chi dice che i social non servono a niente? Io da quando ho iniziato a seguire parecchie case editrici su Instagram ho scoperto tantissimi nuovi libri interessanti. Tra questi c’è, ovviamente, il romanzo che dà il titolo a questo articolo.

A colpirmi è stata innanzitutto la copertina che è esteticamente affascinante ma, e questo può capirlo solo chi ha letto il libro, mostra anche quanto l’illustratore abbia colto a pieno il senso del romanzo. Davvero complimenti a chi l’ha ideata e a chi l’ha scelta.

Quello che però ha notevolmente stuzzicato il mio interesse è stata la sinossi in cui campeggiavano parole come sciamanesimo, buddhismo esoterico e shintoismo. Questo perché ho scritto proprio la mia testi di laurea magistrale in Culture e Letterature Comparate sul misticismo in Giappone e i suoi collegamenti con sciamanesimo e shintoismo.

Ho studiato letteratura giapponese e Giappone in generale per tanti anni e mai mi ero ritrovata di fronte a un testo che parlasse di questi argomenti. Sicuramente per mancanza mia, ma il fatto di vedere questi argomenti come contenuti di un romanzo contemporaneo mi ha immediatamente stupita e interessata.

Il romanzo parla del viaggio di Akino, studente presso un’università nipponica, nella misteriosa Osojima, un’isola posta di fronte alle coste del Kyushu che un tempo era la sede di un importantissimo complesso templare legato allo shugendo. In seguito allo Haibutsu kishaku, un movimento che voleva la completa abolizione del buddhismo in Giappone, i templi e le statue buddhiste di Osojima furono distrutte e i monaci tutti furono perseguitati e costretti ad abbandonare l’isola.

Akino si ritrova sull’isola grazie ad alcuni appunti lasciati dal suo professore universitario, ora scomparso. A causa di una tragedia che lo ha colpito e che lo ha visto ritrovarsi orfano in pochi mesi, Akino è inconsciamente affascinato da tutto ciò un tempo prosperava rigoglioso e che un solo evento fatale ha cancellato dalla faccia della terra.

A Osojima Akino fa la conoscenza di numerosi personaggi primo fra tutto Kajii, la guida che lo aiuterà a percorrere l’isola a piedi per capirne i misteri. La conoscenza di queste persone, della storia dell’isola e il viaggio con Kajii lo aiuteranno in qualche modo a scoprire di più se stesso. Questa conoscenza però non avviene attraverso la comprensione razionale ma attraverso l’esperienza diretta: Akino, tra le grotte dei monti sacri e i percorsi ricchi di scoperte, capirà il concetto fondamentale del Sutra del Cuore: la forma è vuoto, il vuoto è forma.

Cinquant’anni dopo il filo rosso del destino collega di nuovo Akino a Osojima: suo figlio Yuji si occupa infatti del processo di riconversione dell’isola da posto dimenticato a luogo di meta turistica. Il cambiamento che l’isola ha subito sconcerta l’ormai anziano Akino e ci ritroviamo catapultati nella stessa situazione di cinquant’anni prima: tutto ciò che un tempo era, in un attimo non c’è più.

E’ chiaro che il concetto d’impermanenza permea, scusate il gioco di parole, le pagine di questo delicatissimo romanzo. Penso che l’autrice abbia narrato in modo magistrale la scoperta di se stessi, l’entrata misteriosa nel nostro inconscio e nei nostri traumi ma anche dei nostri ricordi e del nostro passato.

Siamo abituati a una narrativa che ci racconta i viaggi interiori come delle avventure degne degli eroi antichi, grandi gesta e grandi viaggi che segnano profondamente l’anima. In realtà, e credo che chiunque stia intraprendendo un percorso volto alla conoscenza del proprio se possa confermare, è tutto molto meno hollywoodiano di quello che ci viene descritto.

Quando si parte alla scoperta di noi, infatti, un giorno, un anno e un secondo hanno la stessa identica valenza. A volte ci vogliono anni per capire qualcosa che poi, come per magia, in un secondo appare chiarissimo. Ma questo non vuol dire nulla, ci vorranno ancora tanti secondi e giorni per cercare di fare i conti con quello che si è appreso. Nella maggior parte dei casi, poi, le grandi rivelazioni nascono da cose piccole o da pensieri nuovi che non avevamo mai avuto il coraggio di pensare.

E così Akino scoprendo l’isola scopre anche un po’ se stesso. Varca i passaggi della sua anima, più volte è tentato di perdersi in grotte oscure ma evidentemente non è ancora pronto per valicare questa soglia perché a più riprese riesce a fuggire in tempo oppure a riprendersi e a ritornare sulla sua strada. Ed è normale che sia così perché, lungo il suo cammino, deve superare numerosi usogoe, termine che vuol dire passaggio ma che nel libro, sebbene non venga mai volutamente specificato, indica qualcosa di più, come una prova da superare o meglio un ostacolo da vincere.

Non bisogna affrettare i tempi, tutto verrà nel momento giusto. Akino, dunque, dovrà prima superare questi ostacoli e infine riuscirà a vedere un umiuso ovvero una “bugia del mare”. Si tratta infatti di alcuni miraggi visibili dalla casa del signor Yamane, un abitante dell’isola.

Ho personalmente interpretato queste bugie del mare come la possibilità di vedere oltre le cose così come sono, come un modo di poter letteralmente vedere che la realtà non è solo quella che noi crediamo di vedere e che il mistero fa parte di essa: l’inspiegabile e l’ignoto sono parte della realtà così come la realtà stessa non è mai davvero “reale” ma ha in sè sempre un elemento di mistero.

Questo Akino lo riesce a mettere in parole solo in tarda età durante il suo secondo a Osojima:

” Avevo capito che in un solo istante la forma poteva diventare vuoto. Dal mattino alla sera, durante le giornate trascorse sull’isola, con lo spettacolo del mondo che si rinnovava davanti agli occhi, provavo ogni volta uno stupore incommensurabile e al contempo, ogni singola volta, comprendevo. Grazie a quel viaggio, cinquant’anni prima, avevo già raggiunto il culmine della mia ricerca, ma senza passare attraverso le parole. Ecco perché la mia comprensione e il mio ricordo di Osojima, soprattutto in relazione alla conoscenza di me stesso, non avevano alcun bisogno di essere legati alla scrittura”.

In queste bellissime parole ritorna anche il tema dell’intima connessione tra ricerca e testimonianza o anche, in maniera molto più larga, tra passato e presente. Nonostante il giovane Akino avesse condotto uno studio meticoloso su Osojima e le sue tradizioni, i suoi studi non saranno mai pubblicati. Tutte le sue annotazioni e i suoi quaderni furono distrutti o andati perduti durante la Seconda Guerra Mondiale. Lui solo resta il tramite tra il passato dell’isola e il suo presente.

E quindi qui fondamentale la presenza del figlio Yuji, colui il quale è, in parte, responsabile dello stravolgimento dell’isola. Durante i lavori di riconversione, infatti, vengono scoperti numerosi reperti archeologici che vengono prontamente ignorati per impedire ritardi. Tuttavia, qualcosa deve essere salvato anche perché potrebbe favorire l’attività turistica dell’isola. Sarà quindi Yuji a salvare un reperto che avvallerrà un tesi, avanzata secoli prima, circa la discendenza degli abitanti di Osojima.

Il passato che riemerge, la scrematura tra quello che può restare e quello che deve essere dimenticato, la trovata inaspettata di un reperto archeologico che convalida ipotesi tenute nascoste per decenni… Mi sembra quasi di essere di riconoscere i meccanismi che regolano conscio e inconscio. E d’altronde è così che funziona il tempo interiore: non in sequenza lineare ma tutto è nello stesso momento di tutto e qualsiasi cosa può vivere, morire o resuscitare in qualsiasi momento.

Perciò Akino anziano arriverà a dire:

“Il sacro e venerabile Monte Shiun, ora sul punto di esere raggiunto da una funivia, e il misteriore Monte Taizo, con le sue rare e fantastiche pareti rocciose in parte distrutte e privato della sua grandiosità, sopravvivevano infatti nella mia coscienza, come se avessero formato fin dal principio un’unità inscindibile, oltre ogni epoca, oltre lo spazio fisico. Il tempo non scorre a tutta velocità lungo una linea retta, il passato e il presente si ritrovano allineati davanti ai nostri occhi, nella stessa misura, come se fossero a disposizione per essere esaminati e selezionati con cura. Giorno dopo Giorno si perde qualcosa, ma il tempo si accumula dentro di noi senza requie, alimentando i ricordi e la conoscenza. Come in una mappa tridimensionale, la mia Osojima radunava le ombre del tempo in strati sovrapposti, fra passato e presente, e cominciava una nuova esistenza dentro di me. Era stupefacente. E quel senso di perdita iniziava ad assumere forme reali e si metteva piano piano a brillare”.

Ammetto che questo libro mi ha davvero conquistata, come ho già detto trovo davvero magistrale il modo in cui l’autrice abbia descritto un viaggio interiore alla scoperta del sé. Chissà, magari un giorno riuscirò anche a leggerlo in lingua originale. E a questo proposito volevo menzionare il lavoro, eccellente come sempre, del prof. Gianluca Coci per la bellissima traduzione del romanzo che ha un ritmo molto particolare che posso descrivere solo attraverso l’immagine dello stare a galla a mare e del lasciarsi trasportare dalle onde mentre il sole accarezza il volto.

Mi viene da ringraziare anche gli editori che hanno creduto in questo romanzo: non deve essere stato facile perché contiene tantissimi riferimenti non solo legati al Giappone ma alla religione in Giappone e a eventi storici che davvero solo gli “addetti ai lavori” possono cogliere al volo. La scelta di portare questo titolo in Italia mi ha quindi piacevolmente stupita e sono grata di ciò perché mi ha permesso di conoscere un’autrice nuova e, soprattutto, un titolo validissimo che consiglio a tutti.

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